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martedì 22 febbraio 2022

Una lettera

Caro diario, torno a scrivere dopo molto tempo, quando accadono cose che spero di ricordare per molto tempo, che lasciano un segno nella mia vita.

Domenica ho fatto la prima uscita con un gruppo di over 60. Gli anni passano per tutti e ora cerco di frequentare i miei coetanei. L'appuntamento è vicino all'ufficio postale, alle 16:30.



Come mio solito raggiungo il luogo d'incontro con largo anticipo; poco dopo arrivano Antonietta, Agnese e Antonio.

Rossella si avvicina e si presenta a tutti noi.

Aspettiamo tutti l'organizzatrice della passeggiata e gli altri invitati. Quando Antonietta fa notare a Rossella che la sua borsa è aperta lei teme di essere stata derubata. Non trova il portafoglio!

Ci preoccupiamo tutti per Rossella, mi offro di aiutarla nel ripercorrere il percorso che ha fatto dalla sua auto parcheggiata a poca distanza.

Naturalmente non troviamo il portafoglio in auto e lungo il tragitto.

Purtroppo i timori sono fondati, cominciano ad arrivare sul suo cellulare gli avvisi di tentato utilizzo del bancomat. Deve intervenire in fretta per bloccarne l'uso. 

Cerco di aiutarla a trovare i numeri da chiamare per segnalare l'accaduto; anche se è domenica riesce a comunicare velocemente.

Passato il momento di panico iniziale, Rossella riesce a dire nuovamente qualche parola .. "mi dispiace molto per i documenti, li rifarò, avevo solo 40 euro, e fortunatamente avevo levato da pochi giorni la lettera di mio marito a cui tengo tantissimo che portavo sempre con me".

"Lui non c'è più?" le chiedo.  Annuisce e il suo sguardo lascia intuire l'importanza di un legame spezzato dalla morte, ma sempre vivo nell'animo, eterno.

Dopo poco ci lascia, non potrà fare questa passeggiata con tutti noi, deve correre a casa per gestire le altre comunicazioni relative ai documenti sottratti. 

 

Tutto questo avviene mentre in Europa spirano venti di guerra.

Penso alle coincidenze nella vita, ai segni del destino o per i credenti ai messaggi dall'aldilà; anche io sono in attesa di una lettera, contavo di ignorarla e non leggerla per molto tempo, ma domani potrebbe essere tardi  e la vita va vissuta finchè puoi .. 

 

 (P.S. Ho cambiato intenzionalmente i nomi di alcuni, per tutelare la privacy)

mercoledì 30 maggio 2018

Le fatiche di una sciampista


Una persona malata è giustificata se fa del male agli altri?



Il mio lavoro è stato faticoso; per molti anni ho lavato e asciugato capelli, ho elogiato le acconciature di vecchie racchie, consigliato sposine novelle su come tradire e non essere sgamate, suggerito una chiromante che mi sarebbe stata riconoscente o una badante che poi spiattellasse i segreti di quella famiglia.

Ho ripetuto per anni alle mie clienti più giovani, a familiari e a parenti  di darla a chi merita, col contagocce e al momento giusto, in occasione di regali importanti come un girocollo, un bracciale, un anello.

Sto educando mio nipote per trasformarlo in un ometto, lo strapazzo con baci e carezze, gli prendo la manina e gli faccio dare una strizzatina alle tette.

Le mie amiche Lucia, Pamela e Rosy a volte hanno qualcosa da ridire sui miei modi, ma se provano a rimproverarmi mio marito Riccardo le riprende.

Devono essere pazienti con me, sanno che soffro di esaurimento nervoso e a volte dimentico … dimentico quando c’è da pagare, da ringraziare, da ascoltare o essere comprensiva.
Mi assento completamente quando le conversazioni scivolano su argomenti che non mi interessano, mi limito a balbettare ogni tanto una parola di circostanza.
Invece ascolto con attenzione se si parla di soldi; il mondo è pieno di gente che vuole derubarmi e se posso cerco di limitare le spese.
Nonostante il passare degli anni ricordo benissimo le cose che mi interessano, i torti subiti, le carte da gioco mie e degli altri durante le partite.
 
Perché mai dovrei aiutare qualcuno? Nessuna amica mi ha fatto incontrare un riccone quando cercavo uno straccio d’uomo che mi sposasse. Ho dovuto prendere quel tiranno di Riccardo che mi ha costretta ad avere una figlia e a frequentare i suoi familiari.

Qualche anno fa volevo cacciarlo di casa, Lucia mi ha convinta a tenerlo, ma non me lo sogno nemmeno di farlo entrare nel mio letto; da almeno 10 anni ogni volta che ci prova gli dico di cercare altrove, qui non c’è trippa pè gatti, capito?

Sono una donna anziana, un tipo originale, dovreste vedere lo sguardo dell’animatore del villaggio vacanze quando gli ho detto, davanti alle mie amiche sconcertate, se voleva passare una notte con me. E mio marito faceva finta di non sentire e guardava altrove.

Anche Pamela ora fa parte dei miei progetti; da quando Fabio le si è avvicinato cerco di seminare zizzania.
Lui rappresenta una minaccia ai miei interessi. Nessuno si deve avvicinare alle mie amiche, ridurre il tempo e le attenzioni che loro mi dedicano.
Lei fa parte del gruppo di ballo, è brava e mi metto al suo fianco per imitare i passi in pista; inoltre è paziente, ascolta i miei racconti, mi consola, fa qualche regalo e non tiene il broncio se le faccio qualche sgarbo.

Con una frase buttata lì per caso ho fatto capire a Fabio che non era gradito e che un altro amico di Pamela andava meglio per lei … “Ragazzi, ricordate che alcuni di noi sono invitati giovedì prossimo alla festa di compleanno di Antonio? Si Antonio, l’amico di Pamela tanto simpatico; perché non mi rispondete? Che c’è, perché mi guardate in quel modo, non dovevo farmi sentire da qualcuno? Ho sbagliato a parlarne?”.

Quando Pamela e Fabio si scambiano di nascosto un bacio in strada li riprendo, col volto incazzato e pieno di moralismo; odio le persone che sfoggiano il loro amore. Ora succede sempre più raramente, sono più rispettosi. Durante molti pranzi li ho invitati a spostarsi più lontano, per far sedere Lucia e Rosy al mio fianco e non vedere i loro sguardi complici.

In una vacanza in comune li ho avvisati “Riccardo ed io ci siamo fatti mettere nella stanza affianco, non fate rumori a letto perché sento e controllo tutto, capito?”. Non hanno fiatato per tutta la notte. 

Ho anche provato più volte a scacciare Fabio dalle frequentazioni comuni ripetendogli “ma tu che ci sei venuto a fare qui, che cerchi?” nei momenti in cui nessun altro poteva sentire.
Lo apostrofo regolarmente perché non balla, gli dico di alzarsi e andare in pista e liberare il divanetto che occupa, così posso allargarmi, stendere le gambe e levarmi le scarpe.

Lo riprendo ogni volta che i due lasciano la sala, in anticipo sui miei tempi, con la scusa che lui abita lontano. Lo obbligo a giustificarsi davanti a tutti e lo incalzo ogni volta con domande su dove andranno e cosa intendono fare. Sicuramente vorrà fermarsi per strada ad insidiare quella poverina, ma lei non deve assecondarlo, lui deve scomparire e non la merita.

Sono riuscita a fargli perdere la pazienza più volte, finalmente ha scelto di disertare gli incontri comuni con il resto del gruppo, mentre Pamela continua ancora ad essere presente, con un atteggiamento vagamente infastidito.
Io la premio con larghi sorrisi e le ripeto con sguardo commosso che le voglio tanto bene.

Mio marito parla male di lui pubblicamente visto che se la prende con una povera donna malata; in molti mi sostengono, condividono i miei modi e dicono “a lei tutto è concesso, poverina, lo sanno tutti che sta male”.




venerdì 30 settembre 2016

Palla e porta o scarto




Più di 50 anni fa potevi giocare a calcio in strada senza preoccuparti delle auto anche nella mia città.
Due bottiglie o un paio di sassi indicavano i limiti della porta, un pallone quasi sgonfio bastava per potersi divertire.

La formazione delle squadre era la parte più interessante; i due capitani si autocandidavano in base alla popolarità e bravura che veniva loro accreditata, discutevano a lungo per scegliere i giocatori migliori e contrattavano anche aspetti come calciare il tiro di inizio o giocare sul lato più favorevole del campo per posizione del sole, ostacoli e pendenza.

Se i partecipanti erano in numero dispari poteva accedere alla competizione anche l’ultimo, quello che nessuno voleva includere tra i titolari; veniva chiamato lo “scarto”, aggiudicato cedendo agli avversari il lato del campo migliore (porta) e il possesso di palla nel calcio di inizio (palla).



La condizione di scarto non era invidiabile, nessuno dei compagni gli passava la palla, nessuno se lo filava quando urlava che era in posizione favorevole per un tiro, veniva deriso e criticato ad ogni errore; per non rimanere uno scarto a vita doveva sperare di poter inciampare nella palla e fare almeno un bel tiro in porta a seguito di una serie di errori degli avversari.

A nessuno dei suoi interessava se si faceva male in un contrasto, non si perdeva tempo a protestare con l’arbitro, la squadra che contava era comunque salva!

Spesso però lo scarto era quello che sapeva risolvere brillantemente i problemi di matematica durante i compiti in classe; i capitani lo imploravano “... fammi copiare, ti ho inserito nella mia formazione, continuerò a prenderti come scarto nelle prossime 3 partite, lo giuro”.

Il secchione a volte si impietosiva, sperava di elevarsi dalla sua condizione e diventare almeno “arbitro cornuto”, oppure si prendeva una rivincita e passava una soluzione incompleta o errata del compito.

Oggi fra molti adulti ritroviamo gli stessi meccanismi di quei comportamenti discriminatori tra bambini.

Anche voi conoscete individui che organizzano gran parte della loro vita ricercando il consenso dei compagnucci del gruppo (i titolari della squadra), che non vedono, non sentono, non intervengono, non c’erano, scrollano le spalle quando qualcuno è in difficoltà o subisce un sopruso, poi corrono a cercare consensi nei momenti in cui hanno un bruscolino in un occhio!

E vogliamo parlare del mondo del lavoro, dove in certi periodi il dipendente è trattato come un professionista unico e indispensabile mentre in altri torna alla condizione di scarto in quanto circondato da capitani dell’ultima ora?

Andrebbe studiata e compresa la psicologia degli scartati, loro subiscono questa condizione, non riuscendo o non volendo essere omologati; quando trovano la forza di ribellarsi mollano senza alcuna riconoscenza la squadra che li ha emarginati, apparentemente per una sola goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Lavorando assiduamente su se stessi e scegliendo con attenzione nuove frequentazioni possono creare una cerchia di relazioni dove essere apprezzati, stimati, contestati, amati, odiati … ma mai più ignorati.