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venerdì 30 settembre 2016

Palla e porta o scarto




Più di 50 anni fa potevi giocare a calcio in strada senza preoccuparti delle auto anche nella mia città.
Due bottiglie o un paio di sassi indicavano i limiti della porta, un pallone quasi sgonfio bastava per potersi divertire.

La formazione delle squadre era la parte più interessante; i due capitani si autocandidavano in base alla popolarità e bravura che veniva loro accreditata, discutevano a lungo per scegliere i giocatori migliori e contrattavano anche aspetti come calciare il tiro di inizio o giocare sul lato più favorevole del campo per posizione del sole, ostacoli e pendenza.

Se i partecipanti erano in numero dispari poteva accedere alla competizione anche l’ultimo, quello che nessuno voleva includere tra i titolari; veniva chiamato lo “scarto”, aggiudicato cedendo agli avversari il lato del campo migliore (porta) e il possesso di palla nel calcio di inizio (palla).



La condizione di scarto non era invidiabile, nessuno dei compagni gli passava la palla, nessuno se lo filava quando urlava che era in posizione favorevole per un tiro, veniva deriso e criticato ad ogni errore; per non rimanere uno scarto a vita doveva sperare di poter inciampare nella palla e fare almeno un bel tiro in porta a seguito di una serie di errori degli avversari.

A nessuno dei suoi interessava se si faceva male in un contrasto, non si perdeva tempo a protestare con l’arbitro, la squadra che contava era comunque salva!

Spesso però lo scarto era quello che sapeva risolvere brillantemente i problemi di matematica durante i compiti in classe; i capitani lo imploravano “... fammi copiare, ti ho inserito nella mia formazione, continuerò a prenderti come scarto nelle prossime 3 partite, lo giuro”.

Il secchione a volte si impietosiva, sperava di elevarsi dalla sua condizione e diventare almeno “arbitro cornuto”, oppure si prendeva una rivincita e passava una soluzione incompleta o errata del compito.

Oggi fra molti adulti ritroviamo gli stessi meccanismi di quei comportamenti discriminatori tra bambini.

Anche voi conoscete individui che organizzano gran parte della loro vita ricercando il consenso dei compagnucci del gruppo (i titolari della squadra), che non vedono, non sentono, non intervengono, non c’erano, scrollano le spalle quando qualcuno è in difficoltà o subisce un sopruso, poi corrono a cercare consensi nei momenti in cui hanno un bruscolino in un occhio!

E vogliamo parlare del mondo del lavoro, dove in certi periodi il dipendente è trattato come un professionista unico e indispensabile mentre in altri torna alla condizione di scarto in quanto circondato da capitani dell’ultima ora?

Andrebbe studiata e compresa la psicologia degli scartati, loro subiscono questa condizione, non riuscendo o non volendo essere omologati; quando trovano la forza di ribellarsi mollano senza alcuna riconoscenza la squadra che li ha emarginati, apparentemente per una sola goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Lavorando assiduamente su se stessi e scegliendo con attenzione nuove frequentazioni possono creare una cerchia di relazioni dove essere apprezzati, stimati, contestati, amati, odiati … ma mai più ignorati.